martedì 17 marzo 2015

MODIGLIANI E LA BOHEME DI PARIGI ALLA GAM di Torino

Sono andata a vedere la mostra di Modigliani perché non c'è cosa che ami di più che rubare al tempo lo spazio sospeso di una mostra. E mi piace anche tantissimo andarci il primo giorno di apertura, oppure in orari insoliti, perché è buffo osservare chi c'è in giro per il museo.

Il primo giorno di una mostra è sempre il più magico ed emozionante. Si aprono le porte e tutto è a tua disposizione, c'è nell'aria un milligrammo di imbarazzo, come quando si è invitati a una festa dove non si conosce nessuno, ma comunque non si vede l'ora di arrivare.




E così sono entrata un po' ignara, perché di Modigliani non sapevo un granché.
Non si può sapere tutto di tutta l'arte e lui lo avevo un po' trascurato perché credevo non fosse tra i miei artisti favoriti.

Ma da oggi c'è anche lui insieme a Van Gogh e alcuni altri...
Non è possibile non innamorarsi di un artista quando si conosce un pizzico della sua vita. Quando si viene a sapere dei suoi sospiri, delle sue malinconie, del maldivivere che ha dato vita a qualcosa di eccezionale.

Modigliani sapeva bene quello che voleva, lo si capisce da quel segno a matita sulla carta. Non gli piaceva correggere, il tratto doveva essere deciso, pulito, diritto e puro. Non ammetteva tentennamenti e con il passare degli anni lo ha affinato sempre di più alla ricerca di quella linea espressiva così inconfondibile.
Ma quanto è riconoscibile quel segno!




Un naso e un occhio; poi un naso e due occhi; poi ancora un naso, due occhi e un ovale del viso...E ogni volta un foglio nuovo, bianco, intonso. Mai correzioni, sempre nuovi fogli per arrivare a quell'estremo e unico tratto.

E già qui mi affascina tremendamente uno che vuole togliere invece che aggiungere e che si distacca da tutte le correnti alla moda di quel periodo. Certo, non resta indifferente al Cubismo, all'Astrattismo. Ma a lui interessa la figura. E quindi assorbe quel che vuole e rigetta il resto.




Poi, quella purezza essenziale la porta anche nella scultura. Si lascia affascinare dall'arte antica, quella primitiva, che è di una semplicità estrema ma di una bellezza imperitura. Quella africana, che ispirò anche Picasso. E con Brancusi, suo grande amico, condivide lo studio e la ricerca della sintesi della forma.

Modigliani era un uomo molto bello, lo si vede dalle fotografie che la Gam espone durante il percorso della mostra. Gli occhi sono scuri e penetranti e non si percepisce il fatto che fosse malato di tubercolosi fin dall'adolescenza.




Nonostante tutto, continua a lavorare, pur vivendo in una condizione di indigenza e di salute precaria. In una grande foto compare anche la Ruche (l'alveare), quella meravigliosa e incredibile costruzione parigina, rotonda, in cui vissero tutti i più grandi artisti, come in una comune.
Quel luogo doveva essere davvero unico.

"La parola bohème dice tutto. La bohème non ha nulla, e vive soltanto di quello che possiede. La speranza è la sua religione, la fede in se stessa la sua legge, la carità finisce con l’identificarsi con le sue risorse. Questi giovani sono più grandi delle loro disgrazie, inferiori alla loro fortuna, ma superiori al loro destino" Honoré de Balzac






A me ha colpito, proprio come un pugno, quella frase di Modigliani "perché con un occhio guardi il mondo, con un altro guardi dentro di te". Un'introspezione costante, continua, che solo un artista porta consapevolmente con sé, fin dalla più tenera età.
Quella sensibilità estrema per quel mondo che doveva essere interiorizzato e restituito, plasmato e digerito. Fino alla fine.






Amedeo Modigliani e di Jeanne Hébuterne, la donna che lo amò così disperatamente da gettarsi nel vuoto quando lui morì, riposano nel cimitero parigino di Père-Lachaise.
Lui morì nel 1920 in preda a una meningite portata dalla sua malattia, aggrappato a lei.

Jeanne è la donna dai capelli color mogano, legati in morbide trecce ai lati del viso. E' presente in moltissimi dipinti e disegni dell'artista; la loro fu un'unione estrema, dolorosa ma indissolubile.




















mercoledì 4 marzo 2015

I nove anni di Evvivanoé e una mostra che vola a Milano




Oggi è il compleanno di questa bella creatura. Evvivanoè nacque infatti il 6 marzo del 2006 in una giornata di quasi primavera ma ancora freddina, proprio come oggi.

Sono successe parecchie cose, l'entusiasmo è sempre vivo e non smettiamo di guardare avanti.
La vera ricchezza che solo ora, dopo nove anni, posso gustare appieno, è la strada che ho percorso fino a qui. L'essere consapevole che Evvivanoè mi ha reso quella che sono oggi. Sento che non sarei potuta essere diversa eppure...ero così diversa da ora!




Gli artisti straordinari, che ho conosciuto e che oggi sono amici veri, le esperienze fatte, le gioie e i dolori attraverso i quali ho definito via via la strada e la direzione in cui andare oggi sono il mazzo di fiori che vorrei regalare a Evvivanoè e a tutti voi che state lì a leggere.

Vorrei ricordare due persone a cui ho voluto bene, che ho stimato profondamente e che oggi purtroppo non ci sono più. Vittorio VECCHI e Francesco LODOLA. Vittorio, un artista energico, creativo, sempre allegro e felice di vivere. In ogni simbolo decifrava il messaggio profondo e intrinseco della vita. Il primo catalogo che ricevetti fu il suo e mai scelta più bella la nostra collaborazione. Aveva fiducia in me e lo scriveva e lo ripeteva spesso. Grazie Vittorio.








Francesco Lodola era di un'intelligenza brillante e di una sensibilità rara. Un critico d'arte bravissimo, che andava dritto al punto, che non farneticava e non snocciolava termini altisonanti, ma spiegava il suo punto di vista in modo chiaro, pulito e fresco, come un libro illustrato per bambini che poi piace di più ai grandi.

Un saluto a voi, parte viva della storia di Evvivanoè.


Bruno Murialdo




Sono felicissima inoltre di annunciare che la mostra fotografica dedicata alla scrittrice Gina Lagorio del fotografo albese Bruno Murialdo, dopo Cherasco (che l’ha voluta, patrocinata ed esposta negli ultimi mesi dell’anno scorso), in questi giorni, da martedì 3 a domenica 8 marzo 2015, è approdata a Milano: ha come sfondo il foyer del teatro Franco Parenti.

Milano e la casa editrice Garzanti tributano alla scrittrice piemontese, cittadina onoraria di Cherasco, un omaggio in occasione del decennale della scomparsa.




"L'8 marzo 2015 alle ore 18.00 presso il Teatro Franco Parenti di Milano, si terrà una lettura a più voci di Càpita, “un libro di originalità straordinaria” come ha scritto Gianni Riotta, l’ultimo libro di Gina Lagorio, il bilancio spietato e poetico di una vita, che è tornato in libreria per la casa editrice Garzanti, in occasione dei dieci anni dalla scomparsa.
Tanti gli amici più cari che si alterneranno sul palco per dare corpo e suono alle parole del suo romanzo autobiografico: da Andrée Shammah a Lella Costa, da Nando dalla Chiesa ad Anna Nogara, da Fulvio Scaparro a Giulia Lazzarini, da Vivian Lamarque a Roberto Mussapi e Piero Gelli.

Già da qualche giorno prima si potrà ammirare la mostra fotografica: una trentina di scatti del fotografo Murialdo dedicati alla Lagorio scrittrice ma soprattutto alla donna nella “sua” Cherasco. Istanti di una quotidianità tra le mura stellate.  La mostra è stata ospitata dalla galleria Evvivanoé per il mese di ottobre 2014, curata da Sara Merlino.

Bruno Murialdo ha iniziato la sua attività nel 1966 ad Alba in uno studio fotografico, dal 1970 è stato fotoreporter in America Latina, America Centrale, Russia e Paesi dell’Est. Attualmente, insieme all’assistente Silvia Muratore, collabora con i quotidiani “La Stampa” e “La Repubblica”, oltre ad altre testate nazionali e internazionali, raccontando la sua terra e il suo territorio, il Piemonte e le Langhe".

testo di Licia Innocenti