La parte più bella di questo lavoro coincide spesso con l'aspetto più complicato. L'ho notato spesso e continuo a non capacitarmene, ma è così. Troppo facile allestire una mostra nel "tuo" spazio, quando lo conosci bene, sai esattamente quali sono i suoi punti di forza e i limiti e ormai i tuoi gesti sembrano automatici. Prendi la scala, prendi i ganci adatti, sposti le luci, ecc. Certo, la componente variabile sono le opere: loro danno il senso a tutto quello che stai facendo; loro devono emergere come vere protagoniste, loro guidano le tue scelte o semplicemente le ispirano.
Ma se il luogo da allestire fosse un altro? E per di più fosse sconosciuto, assomigliasse più a un cantiere in costruzione senza alcuna comodità e alcuno spunto dal quale partire? Allora sì che la sfida si fa dura. Ma anche interessante.
Mi è capitato di avere la fortuna di allestire una mostra a cui tengo molto (a dire la verità, una parte, non tutti i quadri) in un luogo - non luogo, quel genere di posti affascinanti perché non sono ancora quello che dovranno diventare, ma non sono più ciò che erano prima.
Muri grezzi, niente luci, mille altre incognite da verificare una volta arrivati e da risolvere (e anche in fretta).
Prima cosa da fare: capire qual è il potenziale di questo posto.
Seconda cosa da fare: capire come trasformare i difetti in pregi, le mancanze come punti da cui partire per creare qualcosa di concreto.
Il posto aveva l'aspetto di un cantiere in costruzione. Quindi ho sottolineato questo stile, esasperandolo un pochino. Ok la fortuna è stata dalla mia parte: le opere di André Lundquist, da subito, mi sembrava dialogassero con lo spazio in modo piuttosto intrigante.
Visto che si tratta di una "temporary exhibition" con vetrine ma chiusa al pubblico, ho sfruttato lo spazio in primo piano oscurando il retro con l'aiuto di due grossi teli scuri, appesi al soffitto a mo di sipario.
Ho reso molto buia la parte retrostante, mi serviva più luce sulle 7 opere esposte di fronte.
Per illuminare ho utilizzato i fari da cantiere muniti di timer. Li ho lasciati bene in vista, esposti su un grande rocchettone di filo per elettricisti, da cantiere anche questo, ridipinto di bianco.
Le luci sono a led, consumano poco e diffondono una luce pallida e "lunare".
Per enfatizzare l'effetto "work in progress" ho poi utilizzato dei cartoni da imballaggio per spiegare di cosa si tratta: nome dell'artista, contatti e schizzo dell'artista (anche qui, uno degli scatoloni da imballo era stato ultilizzato da André Lundquist per un bozzetto. Io l'ho trovato perfetto).
Che dire? Il risultato lo lascio giudicare a chi guarda la mostra. Certo, i problemi sono molti in questi casi.
Ma anche le opportunità in più.
Fino a data ancora da definirsi, le opere di André LUNDQUIST sono lì. E anche lì sono molto, molto belle.
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